Convivente di fatto e Impresa familiare

La Corte Costituzionale, con la sentenza 148/2024, ridefinisce ancora il confine tra convivenza di fatto e famiglia tradizionale, garantendo ai conviventi ulteriori tutele fondamentali in tema di lavoro e diritti inviolabili.

La sentenza 148/2024 della Corte Costituzionale affronta una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di Cassazione, riguardante gli articoli 230-bis e 230-ter del codice civile, che disciplinano anche il ruolo del Convivente di fatto nell’impresa familiare. La questione ruota attorno alla presunta discriminazione tra coniugi e conviventi more uxorio in merito alla partecipazione all’impresa familiare, una tematica che tocca principi fondamentali come il diritto al lavoro, la dignità della persona e la parità di trattamento.

La regolamentazione delle coppie di fatto in Italia è estremamente frammentata e arretrata rispetto alla società e alle evoluzioni giurisprudenziali. Infatti, sentenza dopo sentenza questa realtà della società italiana sta vedendo finalmente delle tutele prima, quasi, sconosciute.

La vicenda trae origine dalla causa intentata da una convivente stabile che, dopo la morte del partner, ha chiesto il riconoscimento della propria quota di partecipazione a un’impresa familiare agricola. I giudici di merito e la Corte d’Appello avevano rigettato la richiesta, sostenendo che il convivente non rientrasse nella definizione di “familiare” ai sensi dell’art. 230-bis del codice civile, e che l’art. 230-ter, introdotto solo nel 2016 con la legge sulle unioni civili, non fosse applicabile retroattivamente.

Infatti, per il convivente di fatto il legislatore, in luogo dell’inclusione del novero dei soggetti ammessi a godere del regime dell’impresa familiare, ha optato per l’introduzione di una autonoma e specifica regolamentazione. Il comma 46 ha inserito nel codice civile l’art. 230-ter, rubricato «Diritti del convivente», che regolamenta le prestazioni di lavoro rese nell’ambito della famiglia di fatto dettando una disciplina che riconosce al convivente-lavoratore una tutela più ristretta rispetto a quella prevista per i familiari dall’art. 230-bis cod. civ. La tutela del convivente è limitata a taluni, circoscritti, aspetti, quali «una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento».

La Questione di Legittimità Costituzionale

La Cassazione ha sollevato il dubbio di costituzionalità, considerando che l’attuale normativa potrebbe violare:

  • Art. 3 Cost.: principio di uguaglianza, per la disparità di trattamento tra coniugi e conviventi.
  • Art. 4, 35 e 36 Cost.: diritto al lavoro e alla retribuzione.
  • Art. 2 Cost.: tutela delle formazioni sociali, inclusa la convivenza.
  • Norme sovranazionali (artt. 8 e 12 CEDU, art. 9 CDFUE) che riconoscono la dignità e la tutela delle famiglie di fatto.

La Corte di Cassazione ha evidenziato come la legislazione e la giurisprudenza nazionali siano evolute verso un riconoscimento della famiglia in senso ampio, includendo le convivenze stabili. Ha inoltre sottolineato che l’art. 230-ter cod. civ., sebbene riconosca diritti minimi al convivente lavoratore, non è sufficiente a garantire una parità effettiva con i coniugi.

[…] La Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria, ha chiesto l’intervento nomofilattico delle Sezioni unite al fine di chiarire se l’art. 230-bis, comma terzo, cod. civ. potesse essere evolutivamente interpretato – in considerazione del mutamento dei costumi nonché della giurisprudenza costituzionale e della legislazione nazionale in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso – in chiave di esegesi orientata agli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost., nonché all’art. 8 CEDU, nel senso di prevedere l’applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da stabilità.[…]

Il fulcro delle sollevate questioni di legittimità costituzionale risiede nella portata della tutela del convivente more uxorio – ossia del «convivente di fatto» ex art. 1, comma 36, della legge n. 76 del 2016 – quale ritraibile dalla Costituzione, che all’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo nelle «formazioni sociali» ove si svolge la sua personalità.

Tale è, appunto, la convivenza di fatto, la quale esige una tutela che si affianca a quella che l’art. 29, primo comma, Cost. riserva alla «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».

Anche recentemente questa Corte ha ribadito che il matrimonio, inteso quale unione tra persone di sesso diverso, è riconducibile all’art. 29 Cost. (sentenze n. 66 del 2024, n. 170 del 2014 e n. 138 del 2010); invece, le convivenze di fatto, al pari delle unioni civili, appartengono alle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., all’interno delle quali l’individuo afferma e sviluppa la propria personalità (sentenze n. 269 del 2022, n. 170 del 2014 e n. 138 del 2010).

L’emersione delle convivenze di fatto come diffuso fenomeno sociale è relativamente recente; dai dati statistici risulta la “moltiplicazione delle unioni libere”, che ormai sopravanzano, in numero, le famiglie fondate sul matrimonio

Analisi della Sentenza n. 148/2024 della Corte Costituzionale: La Tutela del Convivente More Uxorio alla Luce dei Principi Costituzionali e Giuridici

La sentenza n. 148/2024 della Corte Costituzionale, che ha sollevato importanti questioni in relazione alla tutela dei diritti dei conviventi more uxorio, si inserisce in un percorso giuridico evolutivo che, a partire dalle prime sentenze degli anni Settanta, ha progressivamente riconosciuto dignità e protezione a coloro che vivono in un’unione di fatto. L’analisi di questa sentenza, pertanto, deve tenere conto sia dei precedenti giuridici che dei principi costituzionali invocati dalla Corte, che rispecchiano i mutamenti della società italiana e l’evoluzione delle sue relazioni familiari.

Il Riconoscimento del Convivente More Uxorio: Le Fondamenta Costituzionali

Il fulcro della decisione della Corte Costituzionale riguarda la protezione dei diritti dei conviventi more uxorio, ovvero delle coppie non unite da matrimonio o unione civile, ma comunque stabilmente legate da un vincolo affettivo. In base all’art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, la Corte ha affermato che la convivenza more uxorio deve essere trattata come una formazione sociale, alla pari delle altre, tra cui la famiglia matrimoniale. Questa conclusione è coerente con l’evoluzione del diritto italiano, che, a partire dalla legge n. 76 del 2016 (legge sulle unioni civili e le convivenze di fatto), ha formalizzato una disciplina che tutela i conviventi more uxorio, anche se non è ancora equiparata al matrimonio sotto tutti gli aspetti.

La legge n. 76 del 2016, all’art. 1, comma 36, aveva previsto che «si intendono per “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile»

con l’art. 1, comma 46, aveva introdotto l’art. 230-ter cod. civ., secondo il quale: «[a]l convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato», e con l’art. 1, comma 20, aveva reso applicabile l’art. 230-bis cod. civ. anche all’unione civile.

L’art. 29 della Costituzione riserva una tutela specifica alla famiglia fondata sul matrimonio, ma, come la Corte ha già ribadito in precedenti pronunce, non si può negare una protezione adeguata alle convivenze di fatto, che sono ormai una realtà sociale diffusa e consolidata. In tal senso, la Corte Costituzionale ha già sottolineato che, pur mantenendo differenze strutturali tra matrimonio e convivenza, è irragionevole discriminare i conviventi more uxorio da un punto di vista giuridico, soprattutto in relazione a diritti fondamentali, come quelli legati all’abitazione, al lavoro e alla protezione della salute.

I Precedenti Giuridici e l’Evoluzione della Giurisprudenza

Nell’ambito europeo, l’adeguamento dell’ordinamento interno al quadro di progressiva evoluzione dei costumi del nostro paese ha trovato conforto e a volte stimolo nei principi della CEDU (che all’art. 8 riconosce il «Diritto al rispetto della vita privata e familiare») e in quelli della CDFUE (che all’art. 9 riconosce il «Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia»); l’interpretazione di tali principi ad opera degli organi giurisdizionali sovranazionali si orienta nel senso del riconoscimento della tutela dei diritti legati alla vita privata e familiare all’unione di due persone in sé, anche se dello stesso sesso, a prescindere dalla celebrazione del matrimonio, purché la stessa sia connotata da stabilità. Che la vita dei conviventi di fatto rientri nella concezione di vita “familiare” è una nozione ormai consolidata nella giurisprudenza della Corte EDU in sede di interpretazione dell’art. 8, paragrafo 1

L’art. 9 CDFUE riconoscendo tra le libertà fondamentali tutelate dal Capo secondo, il «diritto di sposarsi» in modo disgiunto rispetto al «diritto di fondare una famiglia»

realizza una significativa apertura nei confronti delle famiglie di fatto tutelando, anche al di fuori della presenza di vincoli formali nei rapporti familiari, la meritevolezza degli interessi perseguiti attraverso la scelta, del tutto legittima, di convivere senza matrimonio, sostituendo il tradizionale favor per il matrimonio con la pari dignità di ogni forma di convivenza alla quale una legislazione nazionale decida di dare la sua regolamentazione. Sarebbe altresì in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost, in relazione agli artt. 8 e 12 CEDU, come evolutivamente interpretati dalla giurisprudenza della Corte EDU nel senso di non limitare la nozione di “famiglia” alle relazioni basate sul matrimonio, ma di estenderla anche ad altri legami “familiari” di fatto, se le parti convivono fuori dal vincolo del matrimonio, tanto da circoscrivere la possibilità di una ingerenza degli Stati nazionali nei diritti alla “vita familiare” sia delle coppie sposate che di fatto, con la necessaria osservanza dei principi di legalità, necessità e proporzionalità, elaborando in talune circostanze dei veri e propri obblighi positivi volti alla promozione dei suddetti diritti

La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha percorso un lungo cammino prima di giungere all’affermazione della tutela dei conviventi more uxorio. Negli anni Settanta, in una società ancora fortemente legata ai modelli familiari tradizionali, la Corte si limitava a rilevare l’ingiustizia di alcune discriminazioni nei confronti dei conviventi di fatto rispetto ai coniugi, come nel caso delle donazioni.

A partire dalla sentenza n. 237 del 1986, la Corte ha iniziato a riconoscere la rilevanza costituzionale dei rapporti di convivenza, affermando che, pur non essendo equiparabili al matrimonio, le convivenze di fatto meritano una protezione in quanto formazioni sociali, come stabilito dall’art. 2 della Costituzione.

Le successive sentenze, come la n. 404 del 1988, hanno ampliato il perimetro di questa tutela, riconoscendo diritti a favore dei conviventi more uxorio, ad esempio nel contesto dei contratti di locazione. La Corte ha quindi evoluto il suo orientamento, arrivando a stabilire che, in specifiche situazioni, come la protezione della salute di un convivente disabile (sentenza n. 213 del 2016), il convivente ha diritto agli stessi trattamenti giuridici riservati ai coniugi. Questo principio si è esteso anche ad altri diritti, come il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, ribadito nella sentenza n. 148/2024.

In particolare, nelle più recenti pronunce delle Sezioni unite civili, in caso di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile, si dà rilievo al periodo di convivenza, sia prematrimoniale (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 18 dicembre 2023, n. 35385), che dell’ex coniuge (Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 7 febbraio 2023, n. 3645 e ordinanza 5 maggio 2022, n. 14256), quanto alla determinazione dell’assegno divorzile o dell’assegno di mantenimento (Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 12 dicembre 2023, n. 34728), e della convivenza antecedente l’unione civile per la determinazione dell’assegno in favore del componente dell’unione civile (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 dicembre 2023, n. 35969).

L’accertamento dell’esistenza della convivenza – intesa quale legame affettivo stabile e duraturo in virtù del quale siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale – rileva in tante altre situazioni specifiche:

sul risarcimento del danno da perdita della vita del convivente (Corte di cassazione, sezione terza civile, ordinanze 13 aprile 2018, n. 9178 e 16 settembre 2008, n. 23725); sulla sofferenza provata dal convivente in conseguenza dell’uccisione del figlio unilaterale del partner (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 21 aprile 2016, n. 8037); ai fini dell’indebito arricchimento (Corte di cassazione, sezione terza civile, ordinanza 7 giugno 2018, n. 14732); ai fini della legittimazione ad esperire l’azione di spoglio (Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenza 2 gennaio 2014, n. 7); sulla detenzione qualificata dell’immobile adibito a casa familiare assegnato all’ex convivente genitore collocatario di figli minori (Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 11 settembre 2015, n. 17971).

La Differenza tra Matrimonio e Convivenza di Fatto: La Necessità di un Trattamento Differenziato

Pur riconoscendo la legittimità dei diritti del convivente more uxorio, la Corte Costituzionale non ha mancato di sottolineare le differenze tra matrimonio e convivenza di fatto. La convivenza, infatti, è priva di alcuni degli elementi di stabilità e certezza che caratterizzano il matrimonio, come la reciprocità dei diritti e dei doveri tra i coniugi. La Corte ha evidenziato che la convivenza di fatto può cessare in qualsiasi momento, mentre il matrimonio implica un impegno più strutturato e duraturo, anche dal punto di vista giuridico.

Il modello secondo la scelta del Costituente è la famiglia fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.). Permangono, quindi, differenze di disciplina, ma, quando si tratta di diritti fondamentali, esse sono recessive e la tutela non può che essere la stessa sia che si tratti, ad esempio, del diritto all’abitazione (sentenza n. 404 del 1988), o della protezione di soggetti disabili (sentenza n. 213 del 2016), o dell’affettività di persone detenute (sentenza n. 10 del 2024). Parimenti fondamentale è il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e alla giusta retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.), che, quando reso nel contesto di un’impresa familiare, richiede uguale protezione.

Tuttavia, in caso di “aspetti particolari”, la Corte ha affermato che la tutela dei diritti fondamentali non può essere influenzata dalla forma giuridica della relazione. In situazioni in cui la convivenza di fatto presenta caratteristiche simili a quelle di una famiglia matrimoniale, ad esempio quando c’è un legame affettivo forte o una responsabilità comune verso i figli, la differenza tra le due forme di unione non giustifica un trattamento giuridico differenziato. La sentenza n. 148/2024 si inserisce in questo solco, affermando che, nei casi in cui sono in gioco diritti fondamentali, le differenze tra matrimonio e convivenza di fatto devono rimanere recessive.

La Dimensione Europea e la Convergenza con i Diritti Sovranazionali

L’orientamento giuridico italiano, come evidenziato nella sentenza, si inserisce in un quadro più ampio, che riflette l’evoluzione dei diritti in Europa. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con la sua interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ha esteso il concetto di “vita familiare” includendo le convivenze di fatto, a prescindere dalla loro istituzionalizzazione giuridica attraverso il matrimonio. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CDFUE) ha compiuto un passo analogo, riconoscendo che il diritto di costituire una famiglia non si limita al matrimonio, ma si estende anche alle unioni di fatto.

Questo ha avuto un impatto significativo sul diritto interno, spingendo il legislatore e la giurisprudenza italiani a rivedere e ampliare la protezione dei conviventi, al fine di allinearsi ai principi sovranazionali. La sentenza n. 148/2024, con il suo riconoscimento dei diritti dei conviventi more uxorio, risponde a questa spinta, rispecchiando una convergenza tra la normativa italiana e i principi internazionali sui diritti fondamentali.

La Corte Costituzionale e il riconoscimento dei diritti del convivente di fatto nell’impresa familiare

La sentenza della Corte Costituzionale analizzata rappresenta un nuovo tassello nel riconoscimento dei diritti dei conviventi di fatto, ampliando il quadro di tutele costituzionali e giuridiche in Italia. Il pronunciamento si inserisce in un’evoluzione normativa e giurisprudenziale che, pur mantenendo la famiglia fondata sul matrimonio come modello costituzionale (art. 29 Cost.), ha dato piena dignità alle unioni civili e alle convivenze di fatto.

Un cambio di prospettiva: la parità di tutela tra coniugi e conviventi nell’impresa familiare

La Corte sottolinea come il diritto fondamentale al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e alla giusta retribuzione (art. 36 Cost.) debbano essere tutelati in egual misura sia per i coniugi che per i conviventi. L’interpretazione dell’art. 230-bis del codice civile, che disciplina l’impresa familiare, fino ad oggi escludeva i conviventi di fatto dalla possibilità di essere riconosciuti come soggetti legittimati a parteciparvi, creando una lacuna normativa che poneva i conviventi in una posizione di svantaggio rispetto ai coniugi e ai parenti fino al secondo grado.

Questa esclusione generava una contraddizione logica e giuridica, evidenziata dalla Corte: il lavoro prestato dal convivente di fatto, pur essendo identico a quello del coniuge o dei parenti stretti dell’imprenditore, veniva assimilato al lavoro gratuito. Una situazione non solo lesiva dei diritti patrimoniali, ma anche della dignità della persona, in violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione.

L’ampliamento delle tutele: la declaratoria di illegittimità costituzionale

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui escludeva il convivente di fatto dalla qualifica di “familiare” e, di conseguenza, dalla possibilità di partecipare all’impresa familiare. La decisione si fonda su una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2 Cost., che tutela le formazioni sociali ove si svolge la personalità dell’individuo, inclusa la famiglia di fatto, nonché sull’art. 3 Cost., invocato nella sua funzione non solo eguagliatrice ma anche razionalizzatrice.

La declaratoria di illegittimità costituzionale si estende, in via consequenziale, all’art. 230-ter cod. civ., che prevedeva una tutela “dimidiata” per il convivente di fatto rispetto a quella garantita dal 230-bis. La norma, introdotta con la Legge n. 76 del 2016, mirava a offrire una garanzia minima ai conviventi di fatto, ma risultava ormai inadeguata di fronte alla più ampia tutela costituzionale riconosciuta dalla Corte.

Le implicazioni pratiche della sentenza

L’inclusione del convivente di fatto tra i soggetti legittimati a partecipare all’impresa familiare ha profonde implicazioni giuridiche e sociali. Da un lato, si riconoscono al convivente gli stessi diritti patrimoniali e partecipativi di cui godono coniugi e parenti. Dall’altro, si supera una discriminazione normativa che rischiava di cristallizzare una disparità non più giustificabile alla luce dell’evoluzione del diritto di famiglia e del lavoro.

La sentenza, infine, costituisce un ulteriore passo verso la piena equiparazione delle famiglie di fatto alle famiglie fondate sul matrimonio in tutti i contesti dove sono in gioco diritti fondamentali. Si tratta di una decisione che rafforza il principio di eguaglianza e pone le basi per un diritto più inclusivo e attento alle trasformazioni sociali.

Conclusione

La pronuncia della Corte Costituzionale sull’art. 230-bis cod. civ. rappresenta un ulteriore evoluzione  nel riconoscimento dei diritti del convivente di fatto, garantendo una tutela giuridica che valorizza il lavoro prestato nell’ambito dell’impresa familiare. L’ampliamento delle tutele sancito dalla Corte non solo rafforza il principio di uguaglianza sostanziale, ma promuove un diritto del lavoro e della famiglia in linea con i principi costituzionali e con l’evoluzione sociale.

 

 

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Il Contratto di Convivenza