Obbligo di Rapporti Sessuali e Violazione dell’Art. 8 CEDU – Il recente caso deciso dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), noto come Ricorso Nr. 13805/2021, ha sollevato importanti interrogativi sul confine tra i doveri coniugali e la tutela dei diritti fondamentali, con particolare riferimento all’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare). La sentenza rappresenta riconosce, di nuovo, l’importanza del consenso come pilastro irrinunciabile in materia di rapporti sessuali all’interno del matrimonio.
La Decisione della Corte EDU
La Corte EDU ha esaminato il caso di una donna francese che si era vista attribuire la colpa esclusiva del divorzio (in Italia il cd. addebito) per il suo persistente rifiuto di intrattenere rapporti sessuali con il marito. I giudici francesi avevano ritenuto che tale rifiuto costituisse una grave violazione dei doveri coniugali, in linea con una giurisprudenza consolidata secondo cui la mancata disponibilità ai rapporti sessuali, se non giustificata da motivi medici, legittima la pronuncia del divorzio per colpa.
La Corte di Strasburgo, tuttavia, ha ribaltato questa prospettiva, affermando che l’esistenza stessa di un obbligo coniugale di avere rapporti sessuali viola il diritto all’autonomia fisica e alla libertà sessuale, nonché l’obbligo positivo degli Stati di prevenire la violenza domestica e sessuale. Ha sottolineato che il consenso al matrimonio non può mai implicare un consenso automatico e permanente ai rapporti sessuali, evidenziando come il rispetto per l’autonomia e il consenso individuale siano principi fondamentali di un ordinamento democratico.
In questo contesto, la Corte ha concluso che il giudice nazionale non aveva bilanciato adeguatamente gli interessi in gioco, violando così l’articolo 8 della Convenzione.
Il Confronto con l’Ordinamento Giuridico Italiano
L’Italia, come la Francia, riconosce i doveri coniugali, definiti dall’articolo 143 del Codice Civile. Tra questi, figurano la coabitazione, la fedeltà e l’assistenza morale e materiale. Tuttavia, il concetto di obbligo coniugale di natura sessuale non è esplicitamente menzionato.
Nonostante ciò, la giurisprudenza italiana ha affrontato situazioni simili, seppur con approcci meno rigidi rispetto alla Francia. In passato, alcune decisioni hanno fatto riferimento alla mancata disponibilità sessuale come elemento valutabile nella pronuncia di separazioni o divorzi, considerando il rifiuto reiterato di rapporti sessuali come possibile manifestazione di un’inadempienza ai doveri coniugali. Un esempio significativo è rappresentato dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 8773/2000, nella quale si è discusso della rilevanza della condotta dei coniugi rispetto agli obblighi sanciti dall’articolo 143 del Codice Civile, pur evidenziando la necessità di bilanciare tali obblighi con il principio del rispetto della dignità personale. Tuttavia, tali pronunce sono state progressivamente affiancate da una maggiore attenzione al concetto di consenso e al rispetto della dignità individuale.
Il Codice Penale e la Rilevanza del Consenso
Sul piano penale, l’articolo 609-bis del Codice Penale italiano definisce la violenza sessuale come qualsiasi atto sessuale imposto senza il consenso della vittima, senza fare eccezioni per i coniugi. Già negli anni ’90, con la storica riforma della disciplina della violenza sessuale, il legislatore italiano ha affermato che il matrimonio non annulla l’autonomia sessuale dei coniugi, riconoscendo lo stupro coniugale come reato.
Questo orientamento trova eco nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha ribadito in più occasioni che il consenso sessuale non può essere presunto in virtù del legame matrimoniale. Ad esempio, nella sentenza Cass. Pen. n. 5251/2001, la Suprema Corte ha affermato che “l’obbligo di coabitazione non può mai giustificare una coercizione a compiere atti sessuali”.
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La Prospettiva dei Diritti Umani
La sentenza della Corte EDU pone al centro dell’attenzione la necessità di interpretare i doveri coniugali in modo coerente con i principi fondamentali dei diritti umani. A sostegno di questo principio, si possono citare altri precedenti della Corte EDU, come il caso M.C. contro Bulgaria (2003), in cui si è affermata l’importanza del consenso in materia di rapporti sessuali, sottolineando l’obbligo degli Stati di adottare misure adeguate per prevenire ogni forma di violenza e coercizione sessuale, anche nel contesto privato e familiare. Ciò include il riconoscimento della libertà sessuale come diritto inviolabile e l’obbligo per gli Stati di prevenire ogni forma di coercizione, anche all’interno della sfera privata.
In Italia, l’approccio giuridico si sta muovendo sempre più verso una tutela rafforzata dei diritti individuali anche nelle relazioni familiari. Un esempio emblematico è la sentenza della Corte Costituzionale n. 286/2014, che ha sancito che la dignità e l’autodeterminazione personale devono prevalere su eventuali obblighi derivanti dal matrimonio.
Elementi di Riflessione sull’Obbligo di Rapporti Sessuali e Violazione dell’Art. 8 CEDU
Il confronto tra Francia e Italia evidenzia come le interpretazioni giuridiche dei doveri coniugali possano variare significativamente, influenzate da fattori culturali, storici e sociali. Tuttavia, la decisione della Corte EDU stabilisce un principio che dovrebbe guidare tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa: il matrimonio non può mai giustificare la violazione dell’autonomia fisica e sessuale di una persona.
In un contesto italiano, questa sentenza invita a riflettere ulteriormente sulla necessità di aggiornare alcune interpretazioni giurisprudenziali per garantire una piena conformità ai principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La sfida consiste nell’armonizzare il rispetto dei doveri coniugali con la tutela dei diritti fondamentali, adottando un approccio che metta al centro la dignità e il consenso.
La sentenza della Corte EDU non è soltanto una condanna della legislazione francese, ma anche un monito per tutti gli ordinamenti giuridici europei. Il rispetto della vita privata e familiare, sancito dall’articolo 8 CEDU, non può essere compromesso da concezioni arcaiche dei doveri coniugali che ignorano il principio del consenso. L’Italia, pur mostrando progressi significativi nella tutela dei diritti individuali, deve continuare a vigilare affinché la giurisprudenza e la normativa evolvano in linea con i valori fondamentali della Convenzione Europea.
Questa sentenza, quindi, rappresenta non solo un’opportunità per discutere di diritti e doveri all’interno del matrimonio, ma anche un invito a ridefinire il concetto stesso di relazione coniugale alla luce dei principi di uguaglianza, dignità e libertà individuale.
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