Il carcere preventivo, noto anche come custodia cautelare in carcere, è una misura restrittiva applicata a un indagato o imputato prima che venga emessa una sentenza definitiva. Viene disposta dal giudice quando sussistono gravi indizi di colpevolezza e almeno uno dei seguenti motivi:
Pericolo di fuga – Si teme che l’imputato possa scappare per sottrarsi alla giustizia.
Rischio di reiterazione del reato – Si ritiene che la persona possa commettere nuovamente lo stesso tipo di reato.
Inquinamento delle prove – Si teme che l’indagato possa alterare le prove o influenzare testimoni.
La custodia cautelare è una misura eccezionale e viene applicata solo se altre misure meno restrittive (come arresti domiciliari o obbligo di firma) non sono sufficienti. Inoltre, il codice di procedura penale prevede dei limiti di durata per evitare che una persona resti in carcere senza processo per un tempo eccessivo.
«L’ignoranza in fisica può creare degl’inconvenienti, ma non delle iniquità;
e una cattiva istruzione non s’applica da sé.»
Alessandro Manzoni: Storia della Colonna Infame
Il Giusto e l’Ingiusto: Una Questione di Prospettive Giuridiche
«Le società civili debbono studiare i modi onde ottenere che la punizione corregga. Ma dovrebbero altresì studiare i modi per impedire che la prevenzione corrompe. Tutti riconoscono che la carcerazione degli imputati prima della condanna è una ingiustizia […] Ma si è soggiunto che questa è una ingiustizia necessaria: e la custodia preventiva si è dovuta ammettere dalle leggi penali.»
Scriveva Carrara nei suoi Opuscoli di diritto criminale.
Il Carcere Preventivo: L’Ingiustizia Necessaria
Il concetto di ingiustizia necessaria ha da sempre alimentato accesi dibattiti sui limiti del carcere preventivo. Nella moderna involuzione umanitaria del diritto penale il carcere preventivo è sicuramente uno dei maggiori tormenti esistenti e arma impropria nelle mani di pubblici ministeri e stampa. Oltre ad essere un forte elemento di de-socializzazione. Sin dal primo codice penale unico per tutto il regno d’Italia, il carcere preventivo divide i teorici in due categorie. I sostenitori della rigida necessità fondano, ancora oggi, le loro ragioni su tre argomentazioni: la custodia in carcere impediva all’imputato di costruirsi una finta linea difensiva; ne evitava la fuga; e serviva per definire velocemente il processo. Per coloro che lo vogliono limitare, invece, la detenzione preventiva doveva e deve essere una extrema ratio, provvisoria che deve cessare quando le cause che la avevano resa necessaria vengono meno.
Già dall’ottocento molti ne professavano l’immoralità, sostenendo che fosse in contrasto con uno stato liberale.
E ad oggi questa immoralità è più evidente che mai.
Carrara, nel 1870, sosteneva che erano le forme e i modi di applicazione del carcere preventivo ad essere immorali. La carcerazione preventiva aveva le sue necessità: nella formazione del processo scritto, così che il giudice potesse interrogare l’imputato ad ogni bisogno di istruzione; dal pericolo che l’imputato potesse inquinare le prove; dalla sicurezza sociale che poteva essere messa in pericolo dall’imputato; dalla necessità di evitare che il reo si desse alla fuga. Carrara affermava che questa è una necessità che non ha luogo quando i reati sono stati commessi sotto l’impeto delle passioni, e quindi non offrono i caratteri dell’abitualità. O quando non ci fosse un pericolo grave ed imminente. In mancanza di determinati elementi essenziali non era tollerabile la sua applicazione, questi presupposti dovevano essere anche i limiti alla carcerazione preventiva. Il diritto romano imputava il tempo trascorso in carcere di custodia per la diminuzione della pena a cui si era condannati, fino all’ottocento il carcere preventivo veniva regolato sulla base di due leggi, una del giurista romano Modestino, l’altra degli imperatori Teodosio e Onorio. Così il carcere di custodia indebitamente sofferto, o prolungato oltre i limiti dati dalla legge, veniva contato come causa di diminuzione della pena.
Le Evoluzioni della Legislazione Toscana del 1786
Carrara oltre che per la pena di morte, abrogata in toscana (Con la Leopolda del 1786 prima e con il meraviglioso Codice Penale Toscano del 1853 poi) e vigente nel resto della penisola, si basò anche su altre caratteristiche umanitarie della legislazione toscana, per criticare il primo progetto di un codice penale unificato per tutto il regno, e una di queste era il trattamento del carcere preventivo, che in Toscana era notevolmente avanzato. Per Carrara il progetto del codice penale italiano aveva, per timore di quelli che lo ritenevano troppo umanitario, trascurato i progressi e i successi delle legislazioni più evolute, come quella toscana; dove non solo era da tempo accettato il precetto legislativo dello scomputo del carcere preventivo, ma anche il precetto della eccezionalità dello stesso. Infatti, in Toscana per esempio, non si poteva arrestare un cittadino imputato di un delitto che non portasse a una pena superiore di due anni di prigionia, ed ogni arresto doveva eseguirsi per decreto del magistrato; e nonostante l’istituto della cauzione, restava di fatto che la legislazione panale italiana era più dura di quella toscana. Il codice italiano del 1865 estendeva la custodia in carcere per molti più delitti di quello toscano. Per il criminalista,
la custodia in carcere era da ridimensionare innanzitutto per le spese che portava
che andavano ad incidere su tutto il sistema penitenziario e giudiziario. Dalla statistica italiana del 1869 la media giornaliera dei giudicabili detenuti nei carceri del Regno d’Italia si aggirava intorno ai ventitremila. La spesa per il solo personale del servizio carcerario era di un milione ottocentodiciassettemila lire per le sole duecentoquarantanove carceri giudiziari centrali e circondariali, alle quali vuole essere aggiunta la spesa occorrente per le mille quattrocentoquarantasette carceri mandamentali. E nello stesso documento si rileva che di questa spesa, più della metà si deve attribuire alle detenzioni preventive.
Le Statistiche di Ieri e Oggi
«In occasione dell’audizione del 17 ottobre 2013 in Commissione Giustizia della Camera sulle tematiche oggetto del messaggio del Presidente della Repubblica sulla questione carceraria, il Ministro della Giustizia ha comunicato che la presenza di detenuti, rilevata al 14 ottobre 2013, è di 64.564 unità a fronte di capienza regolamentare di 47.599 posti. Di questi 64.564, i detenuti condannati definitivamente sono 38.625, i detenuti in custodia cautelare sono 24.744. Tra questi ultimi 12.348 sono i detenuti ancora in attesa del primo grado di giudizio (19%); 6.355 sono stati condannati in primo grado e sono in attesa della decisione di appello; 4.387 sono condannati in uno od entrambi i gradi di giudizio di merito e sono in attesa della decisione della Cassazione. Il reato per il quale è ristretto il maggior numero di detenuti in custodia cautelare è quello di produzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Tale situazione di sovraffollamento ha determinato la condanna dell’Italia da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo (sentenza Torreggiani) per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica “proibizione della tortura” pone il divieto di pene e trattamenti disumane e degradanti. La Corte ha fissato in un anno il termine entro il quale l’Italia deve conformarsi alla sentenza stessa.31»
31 Dossier n. 22 Ufficio Documentazione e Studi 15 gennaio 2014, Carcere Preventivo: il giusto bilanciamento tra il diritto alla libertà dell’individuo e le esigenze di sicurezza e giustizia.
Attualmente sono circa ventimila i cittadini che sono in carcere senza una condanna
e di questi una buona parte non ha ancora affrontato il primo giudizio, quindi dall’ottocento ad oggi le statistiche non sono molto migliorate, ma peggiorate. Carrara attribuisce al carcere preventivo un fattore di demoralizzazione del popolo e di allontanamento di questo dalle leggi, convinzione che spiega essere nata dall’esperienza legale svolta per quaranta anni. Demoralizza per natura propria, e più per la forma con la quale si attua, un concetto espresso nell’ottocento e che ad oggi dimostra tutta la sua attualità. Per natura propria, perché deprime ed abbatte il sentimento della personale dignità in colui che dopo avere condotto vita onesta e innocente si trova colpito da una macchia immeritata e indelebile.
Macchia che difficilmente la società dimentica.
«Sente il reo di essere decaduto nella opinione dei suoi concittadini, perché la successiva liberazione non cancella nella mente di molti il torto del carcere patito. È impossibile negare che lo essere stato in carcere, quantunque senza risultato di condanna, lascia nell’animo un grave avvilimento, ed una fatale sfiducia nella vita illibata .Demoralizza per forma nella quale bisogna attuarla, e come almeno di esercita oggi nella generalità delle province di Italia. Si strappa dal seno della famiglia un giovine senza macchia od onestissima sposa, perché qualche fallace apparenza o le ciarle di qualche malevolo crearono sospetti di qualche delinquenza anche leggera.32»
32 Francesco Carrara, Opuscoli di Diritto Criminale, Immoralità del Carcere Preventivo, pag. 356.
Quanto esposto risulta essere drammaticamente attuale, attuali sono le statistiche, attuali sono le problematiche della metodologia con cui questo strumento viene applicato, ed attuali sono le conseguenze che provoca. In una società alla costante ricerca del colpevole il carcere preventivo diventa non solo una brutale arma incostituzionale, ma deleterio alla coesione sociale e all’umanità che il diritto penale dovrebbe tutelare. Un classico esempio, è il caso Mani Pulite, in quella circostanza il carcere preventivo veniva utilizzato come strumento di pressione psicologica, come strumento d’inquisizione, spesso assimilato alla tortura costituzionalmente vietata dall’art. 27. Tuttavia casi analoghi sono quotidiani nella cronaca, capaci anche di destabilizzare governi. Oggi il carcere preventivo è previsto per determinati elementi che possiamo sintetizzare in: gravità del delitto; gravi indizi di reità; pericolo di inquinare le prove; pericolo di fuga; pericolosità sociale. Nella circostanza delle indagini di mani pulite alcuno di questi elementi risultò esistere e le conseguenze della carcerazione preventiva, del processo mediatico e del sentimento sociale si concretizzarono in svariati suicidi di cittadini successivamente prosciolti. Quindi non solo una violazione costituzionale del principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13) e del principio di non colpevolezza, ma anche un gravissimo danno alla vita e alla reputazione.
Carcere Preventivo: Usi Impropri
Ad oggi il carcere preventivo viene ancora utilizzato da alcuni pubblici ministeri come strumento di pressione psicologica, una vera e propria tortura che spesso si associa ai processi mediatici e a conseguenti condanne sociali. Svariati sono gli esempi, come tre ragazzi accusati di stupro e costretti al carcere per giorni prima di vedere quell’infame accusa completamente e definitivamente archiviata. Oppure, il caso di molti politici caduti nelle inchieste, spesso bislacche di pubblici ministeri avventati, i quali hanno patito il carcere preventivo senza la presenza di alcun elemento per l’applicazione. Ed in più, spesso si sono visti negare anche il colloquio con il proprio avvocato, infatti, in regime di carcere preventivo una prassi comune è quella dei trasferimenti improvvisi senza avvisare famiglie e legali. Figure politiche, pubbliche e vite private rovinate per sempre con una macchia indelebile per la società, la quale accomuna l’immagine del carcere ad una concreta ed indiscutibile condanna, nonostante le evidenze successive ad accurate indagini.
È ironico e inquietante che discorsi attuali siano così simili e con identiche retoriche rispetto al 1800
un segno evidente di una evoluzione sociale e culturale in retrocessione. Inoltre, le svariate pronunce di condanna che l’Italia ha subito per violazione dei diritti umani, potrebbero trovare una soluzione proprio nel ridimensionare o in un maggior rigore di questo istituto, che, inoltre, è in forte contrasto con i principi più importanti della nostra costituzione e dei trattati internazionali. A ciò si aggiunga che il sistema penitenziario Italiano, da anni sull’orlo del collasso, non riesce ad assicurare la corretta applicazione di questa misura cautelare, infatti, l’art. 14, comma 3 dell’ord. penitenziario 33 stabilisce che gli imputati debbano essere tenuti distanti dai condannati, ma è una previsione inattuabile in un sistema penitenziario come quello Italiano. Un buon legislatore, attento alla coesione sociale e ai principi costituzionali dovrebbe ridimensionare questa misura cautelare non solo per ragioni umanitarie, ma per le evidenze della scienza penale e per la tutela della spesa pubblica.
33 L’assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli istituti e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto sono disposti con particolare riguardo alla possibilità di procedere a trattamento rieducativo comune e all’esigenza di evitare influenze nocive reciproche. È assicurata la separazione degli imputati dai condannati e internati, dei giovani al disotto dei venticinque anni dagli adulti, dei condannati dagli internati e dei condannati all’arresto dai condannati alla reclusione. Dispositivo dell’art. 14 Legge sull’ordinamento penitenziario co. 3,4
Articolo Estratto dal Libro Atavica Giustizia Edito dalla Edisud Salerno – Dell’ Avv. Leandro Grasso
Incostituzionalità del Nuovo Reato di Femminicidio