L’intelligenza artificiale davanti alla legge: chi è responsabile quando tutto va storto?
Nel 2018, una vettura a guida autonoma di Uber ha investito e ucciso una donna in Arizona. L’evento ha sollevato interrogativi giuridici senza precedenti sulla Responsabilità dell’Intelligenza Artificiale: chi è responsabile quando un’intelligenza artificiale prende una decisione sbagliata? Il produttore del software? Il proprietario del veicolo? L’azienda che ha addestrato il sistema? O forse, in un futuro ancora lontano, la macchina stessa?
L’evoluzione dell’intelligenza artificiale (IA) sta ponendo il diritto di fronte a un bivio. L’architettura normativa su cui si reggono responsabilità civile e penale è basata sul presupposto che l’errore sia umano. Ma se l’errore è di una macchina, come possiamo distribuirne le colpe?
La responsabilità civile dell’IA: un vuoto normativo
L’attuale quadro normativo, sia in Europa che negli Stati Uniti, si basa sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso. La direttiva europea 85/374/CEE stabilisce che il produttore è responsabile per i danni causati da un difetto del prodotto, senza necessità di provare la colpa. Ma cosa significa “difetto” quando si parla di IA?
Se un sistema di riconoscimento facciale discrimina sistematicamente determinate etnie, si tratta di un difetto di progettazione o di una responsabilità dell’azienda che lo implementa? Se un chatbot finanziario consiglia investimenti disastrosi, è responsabile l’utente che si fida ciecamente dell’algoritmo, o la società che lo ha creato?
Il Regolamento sull’Intelligenza Artificiale dell’Unione Europea (AI Act) sta cercando di dare risposte a queste domande. Propone una classificazione dei sistemi di IA in base al rischio: quelli ad alto rischio (come l’IA medica o giudiziaria) dovrebbero essere soggetti a controlli più stringenti. Tuttavia, il nodo centrale resta irrisolto: chi paga quando si verifica un danno?
Un’ipotesi normativa potrebbe essere la creazione di un sistema di assicurazione obbligatoria per l’IA, simile a quella per i veicoli a motore, dove il produttore o l’utente finale dovrebbero sottoscrivere una polizza per coprire eventuali danni. Ma chi stabilisce l’entità del premio assicurativo? E su quali basi?
Difficoltà nella prova del nesso causale
Uno dei problemi centrali nel determinare la responsabilità civile di un sistema di intelligenza artificiale è l’individuazione del nesso causale. In un classico caso di responsabilità civile, è necessario dimostrare che un determinato comportamento ha direttamente causato il danno subito da una vittima. Ma nel caso di un’IA, il processo decisionale non è sempre trasparente né lineare.
Ad esempio, se un’IA medica diagnostica erroneamente una malattia e il paziente subisce danni, è difficile stabilire se l’errore dipenda da un problema di addestramento dell’algoritmo, da un bias nei dati utilizzati, da un malfunzionamento tecnico o dall’uso improprio del medico. Le IA moderne spesso funzionano come “scatole nere”, rendendo complesso individuare con precisione quale fase del processo abbia generato l’errore.
Questo problema è ancora più evidente nei sistemi di machine learning che adattano il proprio comportamento nel tempo. Se un veicolo autonomo causa un incidente, il produttore potrebbe sostenere che l’errore è dovuto a una particolare combinazione di eventi non prevedibile al momento della progettazione. In questo scenario, come si può stabilire il grado di responsabilità del produttore rispetto a quello dell’utente che ha utilizzato l’IA in condizioni reali?
Il ruolo dell’utente finale
Un altro aspetto critico è l’individuazione della responsabilità dell’utente finale. Se una persona utilizza un sistema di IA per compiere un’azione, è sempre responsabile degli effetti delle decisioni prese dal software? Oppure esistono casi in cui l’utente può invocare un’esenzione di responsabilità?
Pensiamo al caso di un medico che utilizza un software di intelligenza artificiale per supportare una diagnosi. Se il software suggerisce una terapia sbagliata e il paziente subisce danni, chi è il responsabile? Il medico, che ha preso la decisione finale? Oppure la società che ha sviluppato il software, se quest’ultimo si è dimostrato inaffidabile?
Al momento, la tendenza giuridica è quella di considerare l’IA come uno strumento nelle mani dell’uomo: il medico dovrebbe comunque verificare la diagnosi, il conducente di un’auto a guida autonoma dovrebbe comunque monitorare la strada. Ma con l’aumento dell’autonomia dei sistemi di IA, questa distinzione diventerà sempre più difficile da sostenere. In alcuni casi, potrebbe essere necessario ridefinire il concetto di “diligenza”: fino a che punto l’utente è tenuto a comprendere il funzionamento dell’IA che utilizza?
Standard di diligenza e responsabilità oggettiva dell’Intelligenza Artificiale
Nel diritto civile, la responsabilità può essere colposa (quando deriva da negligenza o imprudenza) oppure oggettiva (quando si risponde di un danno indipendentemente dalla colpa). Il problema è capire quale modello si applica meglio all’IA.
Un possibile approccio è quello della responsabilità oggettiva, simile a quella prevista per i veicoli a motore. In questo modello, chi utilizza un’IA potrebbe essere sempre ritenuto responsabile dei danni causati, indipendentemente dalla colpa. Questo approccio semplificherebbe l’attribuzione della responsabilità, ma potrebbe risultare ingiusto in situazioni in cui l’utente non ha alcun controllo sulle scelte dell’IA.
D’altra parte, un modello basato sulla responsabilità colposa potrebbe rivelarsi inefficace. Se si richiede di dimostrare che il produttore dell’IA ha agito con negligenza, si rischia di rendere impossibile il risarcimento delle vittime, data la complessità tecnica degli algoritmi.
Un’alternativa potrebbe essere un sistema misto, con una responsabilità oggettiva per i produttori di IA ad alto rischio e una responsabilità per colpa per gli utenti finali. Questa soluzione è stata proposta dalla Commissione Europea nell’AI Liability Directive, che mira a introdurre regole più chiare sulla responsabilità civile dell’IA.
Ma il vero nodo giuridico rimane aperto: la società è pronta ad accettare un sistema di responsabilità in cui l’uomo potrebbe non essere più il principale soggetto giuridico?
Se consideriamo l’IA come un prodotto, allora teoricamente dovrebbe rientrare nella normativa sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso. Questo modello si basa sulla Direttiva Europea 85/374/CEE, che stabilisce che il produttore è responsabile se un prodotto è difettoso e causa danni. Tuttavia, nel caso dell’IA, chi è il “produttore”?
- Il produttore del software (l’azienda che sviluppa l’IA) potrebbe essere responsabile se l’algoritmo ha errori strutturali, bias evidenti o malfunzionamenti prevedibili.
- Il programmatore (o meglio, il team di sviluppo e addestramento) potrebbe essere responsabile solo in caso di negligenza manifesta, ma nella pratica il codice è spesso sviluppato da più persone e addestrato con dati che possono modificarne il comportamento.
- L’utente finale (chi usa l’IA) potrebbe essere responsabile se ha utilizzato l’IA in modo errato o in un contesto non previsto dalle istruzioni.
Quando è responsabile l’utilizzatore?
Le licenze d’uso dell’IA, in molti casi, trasferiscono la responsabilità all’utente finale. Ad esempio, nelle licenze di OpenAI o di altre aziende che sviluppano modelli di IA, si specifica che l’utente è responsabile di come utilizza l’IA e dei risultati generati.
Ma qui sorge un problema: se un’IA è progettata per prendere decisioni autonome, ha senso attribuire tutta la responsabilità all’utente? Ad esempio:
- Se un medico usa un’IA per diagnosticare una malattia e il paziente subisce danni, è colpa del medico o dell’IA?
- Se un investitore segue i consigli di un’IA finanziaria e perde milioni, è responsabile lui o la società che ha sviluppato l’algoritmo?
Al momento, il diritto tende a considerare l’IA come uno strumento, e quindi la responsabilità ricade sull’utente. Ma con l’aumento dell’autonomia dell’IA, questa impostazione diventerà sempre più problematica.
Le licenze d’uso prevedono questi scenari?
Le licenze di utilizzo spesso limitano la responsabilità del produttore. Ad esempio:
- OpenAI, Google e Microsoft nelle loro licenze indicano che l’IA è fornita “as is” e che l’utente è responsabile delle decisioni basate sui risultati dell’IA.
- Software medici basati su IA (come IBM Watson Health) includono clausole in cui si precisa che l’IA fornisce solo supporto decisionale e che il medico ha la responsabilità finale.
- IA per veicoli autonomi: Tesla, ad esempio, specifica che il conducente deve rimanere vigile anche quando utilizza l’Autopilot.
Tuttavia, questo approccio potrebbe cambiare. L’AI Act europeo e le proposte di regolamentazione USA stanno valutando l’introduzione di obblighi specifici per i produttori, soprattutto per le IA ad alto rischio.
Il futuro della responsabilità
Forse la soluzione migliore sarà un sistema ibrido:
- Il produttore potrebbe essere responsabile per gli errori di progettazione dell’IA.
- L’utente potrebbe essere responsabile solo se ha utilizzato l’IA in modo scorretto.
- Potrebbero essere introdotti enti certificatori che verifichino la sicurezza degli algoritmi.
Tutto questo porta a una domanda fondamentale: ha ancora senso applicare il concetto tradizionale di responsabilità umana a un sistema autonomo?
Siamo di fronte a una rivoluzione giuridica senza precedenti.
Il problema della responsabilità penale: può un’Intelligenza Artificiale commettere un reato?
Se un’IA medica rifiuta erroneamente di somministrare un trattamento salvavita, si configura una colpa medica? Se un algoritmo di selezione del personale discrimina sistematicamente un gruppo di candidati, possiamo parlare di discriminazione penalmente rilevante?
Il diritto penale si basa sul principio della colpevolezza personale: solo un essere umano può essere responsabile di un crimine. Ma il concetto di automatismo decisionale sta mettendo in crisi questa impostazione. Alcuni studiosi propongono l’introduzione di una nuova forma di responsabilità indiretta, simile a quella delle persone giuridiche: l’azienda che sviluppa l’IA potrebbe essere ritenuta colpevole di un reato se non ha adottato misure adeguate per prevenire l’errore.
Un altro modello potrebbe essere quello della responsabilità condivisa: l’azienda sviluppatrice, l’utilizzatore finale e gli enti di certificazione potrebbero essere chiamati a rispondere in misura proporzionale alla loro influenza sul sistema. Ma chi stabilisce le percentuali di colpa?
Nel caso della vettura a guida autonoma di Uber, la procura ha deciso di non incriminare l’azienda, ma di perseguire l’operatore umano presente nel veicolo. Una decisione che ha sollevato critiche: se il software guida autonomamente, ha senso attribuire la responsabilità a chi teoricamente dovrebbe solo sorvegliare?
IA, privacy e diritti umani: un equilibrio delicato
Oltre alla responsabilità civile e penale, l’IA solleva enormi questioni legate ai diritti fondamentali. Il GDPR (Regolamento UE 2016/679) impone restrizioni severe sul trattamento dei dati personali, ma gli algoritmi di IA si nutrono proprio di enormi quantità di dati.
Nel caso Schrems II (C-311/18), la Corte di Giustizia UE ha invalidato il Privacy Shield, mettendo in crisi il trasferimento di dati tra Europa e USA. Cosa succederà quando gli algoritmi di IA processeranno dati biometrici senza consenso esplicito? Il diritto alla privacy deve prevalere sull’innovazione tecnologica?
Un altro nodo critico è la trasparenza degli algoritmi: il diritto attuale garantisce il principio della “non discriminazione algoritmica”, ma senza un obbligo di spiegabilità, come si può verificare che un’IA non stia prendendo decisioni arbitrarie? Alcuni paesi stanno introducendo l’obbligo di audit indipendenti per gli algoritmi ad alto impatto, ma il problema resta: chi controlla i controllori?
Proprietà intellettuale e diritti d’autore dell’IA
Chi è il titolare dei diritti su un’opera generata dall’IA? L’utente che la usa? L’azienda che ha sviluppato il software? L’IA stessa (se fosse possibile)?
L’IA può violare il copyright se addestra i suoi modelli su opere protette?
L’attribuzione della proprietà intellettuale per opere generate dall’intelligenza artificiale è un nodo giuridico irrisolto. Attualmente, la normativa riconosce diritti d’autore solo alle creazioni umane. Secondo la Direttiva UE 2019/790, il diritto d’autore tutela esclusivamente le opere che riflettono l’originalità dell’autore umano.
Ma chi possiede un’immagine creata da un’IA generativa? L’utente che ha fornito il prompt? L’azienda che ha sviluppato il software? O il modello stesso? Alcuni ordinamenti, come quello statunitense, hanno stabilito che opere interamente prodotte da IA non possono godere di copyright.
Un altro problema riguarda l’addestramento delle IA su materiali protetti: se un’IA viene addestrata su opere coperte da copyright senza licenza, si configura una violazione? Questo tema è oggetto di contenziosi, come il caso Getty Images vs. Stability AI, dove si discute l’uso di immagini protette per addestrare algoritmi di generazione.
Regolamentazione dell’IA e profili etici
Come si garantisce che l’IA non discrimini o non prenda decisioni ingiuste? Si può vietare l’uso di IA in alcuni ambiti (es. giustizia, sanità, forze dell’ordine)? L’IA deve essere trasparente e spiegabile nei processi decisionali?
L’intelligenza artificiale può essere utilizzata in settori sensibili come la giustizia, la sanità o le forze dell’ordine. Ma come garantire che le sue decisioni siano etiche e non discriminatorie?
L’AI Act dell’Unione Europea, prevede che i sistemi di IA ad alto rischio rispettino criteri di trasparenza e auditabilità. Tuttavia, il problema principale resta la spiegabilità: se un’IA nega un prestito o una diagnosi, il cittadino ha il diritto di sapere perché? Ovviamente si, l’IA dovrebbe quindi spiegare le ragioni del diniego, ma anche il percorso tecnico seguito? E se quella spiegazioni si apre ad una diversa interpretazione?
In alcuni paesi, l’uso dell’IA in ambito giudiziario è stato vietato per il rischio di discriminazione algoritmica. Negli USA, alcune sentenze hanno dichiarato illegittime le decisioni prese da software predittivi perché non era possibile verificare il funzionamento dell’algoritmo.
L’IA deve essere regolata per evitare discriminazioni, ma senza soffocare l’innovazione. Il bilanciamento tra queste due esigenze sarà la sfida del prossimo decennio.
Verso una personalità giuridica dell’IA?
Una proposta radicale, sebbene ancora molto teorica, è quella di attribuire all’IA una personalità giuridica simile a quella delle società. Questo consentirebbe di trattarla come un’entità autonoma, con diritti e doveri. Tuttavia, l’idea solleva perplessità: una macchina può avere responsabilità legali senza una volontà propria?
Il dibattito si estende fino alla proprietà intellettuale: chi detiene i diritti su un’opera creata da un’IA? Nel caso “Thaler v. USPTO”, il tribunale statunitense ha stabilito che solo un essere umano può essere riconosciuto come autore, ma il dibattito è aperto.
La sfida del diritto di fronte all’Intelligenza Artificiale
L’intelligenza artificiale sta riscrivendo le regole del gioco nel diritto. Le categorie tradizionali di responsabilità, colpa e danno devono essere ripensate per adattarsi a un mondo in cui le macchine prendono decisioni autonome. Il diritto deve trovare un equilibrio tra tutela dei cittadini e promozione dell’innovazione.
Dovremmo trattare l’IA come un semplice strumento nelle mani dell’uomo o come una nuova entità giuridica? Quale modello normativo garantirà maggiore giustizia senza soffocare lo sviluppo tecnologico? E soprattutto: siamo pronti ad affrontare le conseguenze di una società sempre più governata da algoritmi?
Le risposte a queste domande non sono semplici. Ma una cosa è certa: il diritto non può permettersi di restare indietro.
La Complessa Realtà Legale degli Account Personali